Terza uscita in bici da Pirata, sfruttando il periodo delle ferie natalizie. Il vento troppo forte e gelido mi ha fatta optare di nuovo per la mountain bike. Ieri sera mi ero accorta che si alzava e incalzava la tramontana. Ho dormito con la consapevolezza che il mio lungo giro su strada avrei dovuto rimandarlo. Già lo stare in sella sei ore lascia il fisico brontolare, figuriamoci se è assediato dal freddo gelido. Quindi riposo un pò di più e con calma mi vesto comoda per l’off road.
Da casa mia a entrare nel bosco è praticamente un passo. Faccio, all’andata, lo stesso percorso di ieri. Ma oggi ero sola. Quando sei sola nella natura, tutto quello che in gruppo non riesci a cogliere, sia per le voci degli amici, il rumore delle ruote o delle cambiate, ti si presenta come un passaggio nuovo. Un nuovo modo di osservare o ascoltare. Ti cattura lo sguardo, la tua ombra che corre in avanti sui tappeti di foglie secche. Le senti schiacciare dalle ruote. Senti gli animali spostarsi nei cespugli ai tuoi lati. Ti accorgi degli spazi di sole che si infilano fra i rami e creano disegni e giochi di luci ed ombre. Ieri qualcuno, sul sentiero, lo abbiamo incontrato. Oggi era tutto mio. Mi son sentita a casa.
Ho pensato di farmi un giro a passeggio per non forzare troppo, ma le mie gambe stamani stavano bene ed avevano voglia di dare. Ho approfittato della mia solitudine per fermare negli scatti tutti quegli sguardi che ci conquistiamo arrivando a Baratti. Panorami stupendi, mai uguali, mai dello stesso colore. Che sia cielo o che sia mare. Baratti era deserta. Anche le tombe sembravano osservare il contorno. Mi son fermata al bar del porticciolo, ormai è un rito. In quel momento, sentendo il gelo che mi entrava dentro, ho deciso che sarei rientrata dal bosco e non dalla pianura. Quindi, dopo tanto tempo che non lo facevo, ho deciso di salire sul colle di Populonia con il mio cancello sotto il sedere. Ho bloccato le forche e l’ammortizzatore e mi sono avviata. Girato l’angolo, fra gli alberi, il vento è sparito.
Il primo tratto di salita mi guarda sempre in faccia ma sono stata colta dalle stesse sensazioni di quando ero in montagna. Ho deciso di salire senza rampichino. Ognuno trova un suo modo per allenarsi alla fatica. Io ho il mio. Lo stesso che ho usato per prepararmi alle montagne senza averle a disposizione. Se avessi avuto la specialissima più di tanto non avrei cambiato. Le ginocchia stavano bene e perché non provare. In quel momento il mio pensiero è stato: se vuoi raggiungere una meta difficile, allenati provando a metterti davanti obiettivi più difficili ancora. La mia MTB pesa quasi 15 kg. Io sopra peso quanto basta per far uscire il fiato anche dai pori e dai moccoli, ma le mie gambe di energia ne hanno da buttare via e la mia testa lo sa quando e quanto posso usarne.
Arrivata alla curva della Madonnina mi sono ricordata di quante volte mi son fermata li. Non posso dire cosa si prova dopo anni a passare in quei posti dove ti sentivi in difficoltà e superarli col sorriso che parte dal petto e arriva fino alle orecchie. Ho abbassato lo sguardo sulla guarnitura ed ho pensato che ormai avevo vinto la sfida e mi son portata la bike fino in cima. Mi son fermata a godermi il panorama sul golfo e son ripartita. Arrivata al Reciso mi sono infilata nel bosco. La temperatura si è fatta sentire subito. Ti abbraccia quel tepore che sui sentieri bagnati di sole ti fa stare bene. La cosa più bella è stata arrivare alla chiesina senza cambiare e senza accorgermene. Quelle salite che si facevano sentire e che misuravo con lo sguardo, stamani, sono svanite sotto le ruote.
Sarà che questi pochi giorni di ferie passati in bici, sono energia positiva pura, tanto da portarsi via ogni cosa non buona. Mi son sentita una cosa sola stamani, come se i pedali, attaccati alle gambe non li avessi sentiti. Mi son sentita come quando potevo correre ogni giorno e dovevo impormi di tornare a casa perché le mie gambe andavano senza fatica. In pochi minuti sono arrivata al suo albero sotto la targa. Sono scesa e col naso per aria l’ho guardata. La mia pancia si è contratta di dolore. Il suo volto mi è apparso davanti. In un microsecondo mi sono apparse le immagini delle nostre girate insieme e le risate e le conversazioni sui progetti come guide mi hanno attraversato il cuore. Non sono riuscita a non piangere pensando con quanto affetto i suoi amici gli han messo quella tavola di legno appesa all’albero a definire un luogo come una persona. Sono quei momenti che sai quanto valore ha una vita che non c’è ma che aveva le stesse passioni che hai te. Tu sei ancora lì. Ma quella vita è ormai sparsa nell’aria e te ne devi tornare a casa sapendo che ormai è così. Puoi solo dare ancora più senso alla tua. Mi son buttata in discesa che non ero di sicuro io. In genere ho più “fifa”. Mi son goduta ogni centimtro di viaggio ed ho portato a casa un pò di bosco, un pò di mare, un pò di silenzio e un pò di dolore mescolato alla gioia di poter ancora pedalare. Mi viene da pensare al fior di loto che sa crescere nel fango. Forse lo sappiamo fare tutti ma non tutti riusciamo a sopravvivere. Un saluto a tutti i Bikers seguite i miei racconti, sarete in bicicletta insieme a me, Taffe.