di Roberto Checchi
IL CICLISMO è un pò come la pancia della mamma, al suo interno ti formi, cresci e quando arriva il momento di venir fuori, nella maggioranza dei casi non vuoi saperne di uscire e allunghi il tempo dell’attesa. E’ un mondo speciale, particolare quasi fosse il PAESE DELLE MERAVIGLIE per ALICE. E’ un cordone ombelicale che ti tiene ancorato alla passione, allo sport, alla disciplina, al gruppo e soprattutto alle amicizie, quelle che MAI ti tradiscono, quelle genuine, quelle che col passare del tempo, restano intatte, infrangibili e inalterate, anche se l’arco degli anni che trascorre in mezzo è lungo più di un decennio. I viaggi si affrontano quasi sempre in compagnia, perché quello che ci aspetta è sicuramente più interessante e decisamente più bello se condiviso. Rimettersi in gioco in un’occasione particolare, per certi versi speciale e ripercorrere passo dopo passo l’ originalissimo cammino sportivo del più grande inventore moderno.
Il PREMIO INTERNAZIONALE VINCENZO TORRIANI è itinerante, fa tappa nelle città che per qualche motivo legano il loro nome alla figura di un uomo dagli occhi laser e un’ immancabile sigaretta in bocca, che ha saputo rivoluzionare il vetusto concetto organizzativo della manifestazione ciclistica troppo spesso legata a un protocollo insipido e invariabile. E’ un concentrato di storie mai banali, tutt’altro, un insieme di straordinari racconti che mettono al centro gli uomini e lasciano da parte i CAMPIONI, figure forse MAI esistite, troppo spesso confuse con i MITI, perché ogni impresa, ogni conquista, ogni successo ha molti punti in comune con i SUPEREROI piuttosto che con i numeri “sciatti” gettati a casaccio, che restano impressi su un tabellone a segnare l’esito finale e un risultato.
ALFREDO AMBROSETTI è un signore che ha passato gli ottanta anni, fondatore dell’omonimo studio che si occupa di consulenza direzionale e tra le tante passioni che contraddistinguono la sua importante attività c’è lo SPORT, su tutti il ciclismo. Figlio dell’organizzatore del Campionato del Mondo del 1951 a Varese che ad oggi resta la manifestazione italiana più partecipata in fatto di pubblico, un milione e duecentomila persone presenti sul percorso di gara. Dovreste ascoltarlo per rendervi conto di cos’è la vera passione, qualcosa che va di pari passo al colpo di follia, la ricerca di valorizzare al massimo un trionfo e far si che questo possa divenire nei giorni e nel tempo, bene prezioso dell’intera comunità. Oratore straordinario, che alterna una dialettica invidiabile al piacere dell’ascolto fino a generare uno stato emozionale incontrollabile, quando esalta i pregi trasmessi da suo padre, manifesta parole d’affetto verso tutti e in particolare punta il dito sulla tifoseria, quella vera, citando un aneddoto legato alla vittoria del mondiale di COPPI a Lugano nel 1953 quando l’intero stadio del Parco dei Principi di Parigi si alzò in piedi per tributargli tutti gli onori del caso, oggi impensabile possa accadere oltreconfine.
Cominciano a svolazzare farfalle nello stomaco quando sale sul palco GIANNI MURA, straordinaria penna, cantore della bicicletta, capace di regalare ai lettori, pagine così belle che a tratti sfiorano o ricalcano alla perfezione il concetto di POESIA. Subito fa una giusta osservazione ponendo all’attenzione di tutti il fatto che lo sport, oggi, ha perso quei valori che per lungo tempo l’hanno proclamato patrimonio della gente, quasi fosse qualcosa da tutelare e da difendere, respingendo bruscamente il contatto tra l’atleta e i tifosi e preferendo, anche se il cambiamento delle epoche lo impone, il guadagno in immagine alla stretta di mano. Poi tutto si trasforma, anche l’aria intorno ha un altro sapore e il pensiero corre inevitabilmente a Marco Pantani. “Perché non alzi mai le braccia quando transiti vittorioso sulla linea del traguardo?” E Marco che MAI dava una risposta scontata gli rispose : “Forse perché quando arrivo non ho nemmeno la forza di alzare le braccia, ma quello che mi da coraggio e grinta, non è arrivare al traguardo, ma vedere gli avversari cedere uno ad uno prima di arrivare e quando resto solo, con il gruppo che m’insegue, è quella la vera felicità, LA MIA SOLITUDINE”. Ripensandoci oggi, mai risposta fu più profetica.
Se la gentilezza, l’umiltà, la signorilità avessero la possibilità di tramutarsi in persona, sceglierebbero senz’altro il corpo di ALBERTO CONTADOR. Superlativo, fantastico personaggio che si racconta via via che l’incalzare delle domande di un graffiante Pier Bergonzi si susseguono come proiettili sparati da una mitraglietta. C’è tutto il tempo per ripercorrere una fantastica carriera che è una vera e propria miniera d’oro. Dentro ci sono tutti i GRANDI GIRI, bissati e triplicati, anche se le carte riportano esiti diversi, ma pur sempre vinti, l’ULTIMO IMPERATORE, sovrano di SPAGNA, inarrestabile conquistatore come ALESSANDRO IL GRANDE sulle strade del mondo. Le immagini proiettate sullo schermo si rincorrono fino al trionfo dell’ ANGLIRU, ultimo immortale sigillo prima di abbandonare l’agonismo e fa da sottofondo la voce di Riccardo Magrini, “Sparami ALBERTINO, sparami!!” Cuore d’Argento di questa edizione nel ricordo di Emilio ed Aldo de Martino, mattatore irrefrenabile, capace di passare in un batter d’occhio dall’imitazione di DE ZAN alla spiegazione della FAGIANATA, espressione che ormai fa parte di un personalissimo vocabolario, tratto dall’intercalare toscano che in fatto d’ invenzioni ha soltanto da insegnare.
CONTADOR analizza lo spumeggiante e meritato trionfo di PINOT nel Lombardia, elogia NIBALI e il “numero” rarissimo esempio di FUORICLASSE che sa tener testa anche alla sorte avversa quando sul CIVIGLIO sembra remare contro e il gruppo degli inseguitori che lo braccano come cani da caccia sulla preda. CONTADOR affascina, strappa applausi e incitamenti e il tempo fugge, scendono le ombre della sera, in attesa che il sole torni a volgere a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti. Certi compagni di viaggio te li scegli, per far si che quel percorso possa restare nel tempo qualcosa d’indimenticabile. Di Vittorio ho conosciuto la parte fortissima dell’ atleta, la meticolosità nella preparazione, ho provato in più di un’ occasione a stargli a ruota e poche volte ci sono riuscito, ho toccato con mano quella voglia di arrivare là, dove solo pochi riescono a tagliare certi tipi di traguardo al di là della fettuccia bianca. Non sempre i sogni si avverano anche se dote, talento e valore non mancano, troppo spesso non bastano e forse è quella la ragione perché in certi casi il rigetto prende il sopravvento. Son passati quattordici anni, non c’eravamo più visti e nonostante tutto, sull’arrivo di COMO le passioni comuni di colpo si sono risvegliate in perfetta sincronia e han corso fianco a fianco. Il desiderio di far parte di un mondo che sento ancora totalmente MIO, non è mai venuto a mancare e in quest’occasione s’è mescolata al suo sentirsi sempre atleta, GREGARIO o CAPITANO, il ruolo si assegna al momento opportuno, ma il totale stato di felicità la trasmette lo sguardo e se è vero che da sempre gli occhi sono lo specchio dell’ anima e ho la capacità, ma forse è soltanto fortuna di saperlo interpretare, non mi sbaglio se vi dico che ho un amico che ha una pazza voglia di tornare a PEDALARE……