di Roberto Checchi
L’Era del MITO è uno spazio di tempo che avvolge intere stagioni o tutto è concentrato in un giorno che da una parte mette sul piatto della bilancia cioccolatini, colombe e baci appassionati e dall’ altra risponde al dolore, regalando il più nobile dei fiori, una ROSA. Un anno chiude un ciclo e ne riapre uno diverso, in cuor nostro tutti ci auguriamo migliore, ma ai pensieri non c’è sosta, s’ arrotolano come la catena sui pignoni, s’ infilano nelle tasche della maglietta sulla schiena fra camere d’ aria e barrette alimentari e si fanno pesanti man mano che il distacco tra di noi comincia a crescere e la corsa contro il tempo si fa sempre più dura. Non teniamo certi tipi di passo in salita, caratteristica riservata agli eletti, quelli che un tempo son stati MITI sulla terra e si sono trasformati in semidei per poter abitare altrove nella pace eterna.
Ma i MITI non sono eroi immortali? Non sono eroi strappati alle pagine di OMERO, da quelle di Melville o di Rice Burroghs? Esistono i MITI mortali quelli che decompongono la carne ma niente intacca la purezza dell’ anima.
Se il corpo svanisce, restano un foulard lanciato in terra con rabbia e forza come il guanto della sfida, il coraggio, l’ azzardo, la perfetta visione di corsa, non se ne va neppure la “cattiveria” quel poco che basta per fare la differenza con gli avversari leali e non si può confondere con la meschinità che è la parte malata se non addirittura marcia che caratterizza il lato oscuro di chi fa del male, troppo, così tanto per fare. Un MITO terreno, questo tu sei e per fortuna non è mai cambiato il metro di giudizio di tutti quelli che fan fatica a lasciarti andare altrove. L’uomo, tu che non sei mai stato ragazzo, che sognava di diventare corridore ed è riuscito a realizzarsi, dimostrando che non c’è mai fine ai desideri e soprattutto alle speranze.
Forse è vera la storia che esiste un posto la dove le nuvole corrono, vanno, vengono e ritornano, dove tutti si chiamano per nome e se chiedi di MARCO, tutti rispondono, Pantani.
Ed è questa la ragione per la quale mi piace immaginare che tutti indifferentemente, TROVATORI e POETI compresi, nel giorno dell’ amore, siano riuniti lì intorno, ad uno stesso tavolo quasi partecipassero ad un torneo letterario per cercare strofe e versi, i più variegati e moderni indirizzati ad esaltare la grandezza del MITO, quello che non si perde e nemmeno si oscura ma risplende nella luce del più cavalleresco dei sentimenti. L’AMORE dopotutto è un laccio, un nodo, che sorregge e non molla, il cordone ombelicale che mantiene viva ogni tua meravigliosa invenzione che caratterizza l’ ARTE DEL PEDALARE.
“Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso perché l’impresa più grande è perdonare se stesso. Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo anche se sarà pesante come sollevare il mondo e ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre…”